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Existe un arte contemporaneo latinoamericano? Y una literatura? Y un cine? 
  
  Como indica va el tftulo plural, "Las Américas Latinas":
  esta exposiciòn suscita dudas sobre la existencia misma de una
  Latino-América. Y nadie resulta mas adecuado que Philippe Daverio,
  asistido en su empresa por Elena Agudio y Jean Blanchaert,
  para explorar una paradoja e idear un provecto fuera de los esquemas para
  indicar la complejidad y la pluralidad de culturas, procedencias,
  idiomas y costumbres que sòlo una aproximaciòn europea puede leer corno
  unitaria.
  
  
En América Latina ha habido una mezcolanza
  humana y un encuentro de civilizaciones sin precedentes en la historia. Poco
  se conoce de la producciòn cultural mas reciente de
  un area geografica "ya no de moda": confinada en retazos de
  informaciones que se remontan a los afios Setenta, lugares comunes que
  perjudican el conocimiento. Se trata de pa[ses
  lejanos, si bien emoti-vamente pròximos, sobre todo porque fueron meta de la
  inmigraciòn de muchos italianos. Paìses conocidos por el tango, el barroco,
  el realismo magico, pero también por las dictaduras, la sangre, las
  persecuciones...
  
  Escribe el comisario de la exposiciòn, Philippe Daverio: "Las Américas
  Latinas san el lugar del mundo don de, por todas partes, sin respetar las
  necesidades de las paredes de los salones o de los museos, el arte esta
  convencido de que debe desempefiar un papel polItico, primordialmente
  politico. Esta convencido de deber testimoniar, de deber secundar la pasiòn
  de los propios intelectuales frente a un debate perenne. 
  
  
Ciertamente, corno por todas partes, se siente
  tentado por los halagos del mercado. Pero corno allI las lisonjas siguen
  siendo fragiles, son igualmente débiles las ganas de secundarlas. EI arte de
  las Américas Latinas es libre. Y quizas incluso emancipado. Sin duda se
  encuentra desligado de cualquier facil clasificaci6n étnica si le consiente a
  cada uno su propio recorrido y permite que todos los que toman contacto con
  las areas y los aires formen parte de él. Cuantos europeos entra n todavfa en
  su magma!"
  
  EI recorrido que ofrecemos es multiple y entrelazado, corno la realidad que
  se quiere representar. Artes figurativas, pero también literatura y ci ne,
  para explorar el crisol de América del Centro y del Sur en su rostro actual,
  el que todavfa no se ha narrado.
Pat Andrea
  
  Nato all’Aja, in Olanda, nel 1942, attualmente divide il suo tempo tra la
  città natale, Parigi e Buenos Aires. Pittore, grafico e illustratore
  auodidatta, non frequenta scuole. Nel 1967 riceve il Premio “Jacob Maris” per
  la pittura. Il suo lavoro cattura ed elabora gli orrori e le fobie della
  guerra tra i sessi. Un ironico erotismo e una violenza trattenuta sono i temi
  principali dei suoi dipinti e disegni, che la critica suole paragonare al
  lavoro di Balthus e Bacon. Da un punto di vista formale si ritrovano nelle
  sue opere le lezioni dei classici combinate a un espressionismo grottesco,
  con immagini di grande intensità. 
  
  Alexandre Arrechea 
  Nato nel 1970 a Trinidad, Cuba, si laurea presso l’Instituto Superior de Arte
  all’Avana nel 1994. Per dodici anni, fino al luglio 2003, è membro del gruppo
  Los Carpinteros. Il suo lavoro, che si caratterizza per la qualità
  interdisciplinare e le opere monumentali, indaga i rapporti di potere e le
  gerarchie, affronta i temi della sorveglianza, del controllo, della
  soggezione, dell’isolamento sociale. Tiene mostre personali a New York, Los
  Angeles, San Diego, Washington e partecipa a numerose mostre collettive, tra
  le quali, nel 2009, la X Biennale dell’Avana e la II Biennale d’arte
  contemporanea di Salonicco.
  
  Artur Barrio
  Artur Alípio Barrio de Sousa Lopes nasce nel 1945 a Oporto in Portogallo. Nel
  1955 si trasferisce a Rio de Janeiro, in Brasile, città dove nel 1967 intraprende
  gli studi d’arte, iscrivendosi all’ENBA, la scuola di belle arti. Per buona
  parte della sua crescita artistica e della sua carriera il Brasile vive in
  una situazione politica molto difficile, sotto la dittatura militare e alle
  prese con violenze, scontri ed episodi di “pulizia sociale” nei confronti di
  delinquenti, emarginati e senzatetto. Negli anni Settanta lascia per un
  periodo Rio e fa ritorno in Portogallo. L’abuso di potere e la mancanza di
  libertà sono un fil rouge nella vita e nell’arte di Artur Barrio, autore
  riconosciuto a livello mondiale, anche se poco presente sulla scena mondana.
  Un suo “manifesto” del febbraio 1970 sottolinea l’inutilità di Salon, premi,
  giurie e critici d’arte e la contrarietà all’imposizione di un’estetica da
  parte di un’élite. Di qui la decisione di utilizzare materiali rifiutati
  dalla tradizione, quali carta igienica, spazzatura, urina, feci, carne,
  sangue. Materiali effimeri, precari, deperibili, che provocano una forte
  reazione sensoriale e che non permettono una lunga conservazione dei suoi
  lavori, sottolineando come l’interesse dell’artista risieda nella creazione
  dell’opera d’arte stessa e nello sviluppo di una situazione in grado di far
  interagire e soprattutto reagire le persone che vi entrano in contatto. Le
  sue opere, infatti, sono installazioni che costringono il pubblico a
  partecipare e a imprimere nella propria mente e nella coscienza un’esperienza
  che, anche se spiacevole, fa parte della vita reale. Nella sua arte si
  ritrovano connessioni con i movimenti Dada e Fluxus, con l’arte situazionista
  e la controcultura in genere. Il suo lavoro può anche essere inteso come
  neodada, dato il rigetto dei più comuni standard vigenti nel mondo dell’arte,
  quali materiali tradizionali e spazi espositivi.
  
  Luis Fernando Benedit
  Nato nel 1937 a Buenos Aires, in Argentina, è pittore autodidatta. Nei primi
  lavori, che risalgono agli anni Sessanta, è già possibile distinguere le
  caratteristiche tipiche della sua pittura: il carattere narrativo delle
  immagini, la nostalgia della natura e il riscatto della storia naturale. La
  sua prima mostra personale è nel 1961 a Buenos Aires. Dopo la laurea in
  architettura nel 1963, si trasferisce in Spagna per specializzarsi in
  architettura popolare e vi rimane per due anni, poi nel 1967 frequenta un
  corso di architettura paesaggistica a Roma. Negli anni Settanta, accostatosi
  all’arte concettuale, crea luoghi artificiali al cui interno inserisce piante
  e animali vivi e compie esperimenti fisici e chimici alla cui base vi è
  sempre l’idea del “processo”. Nel 1970 rappresenta l’Argentina alla Biennale
  di Venezia con un’opera che contiene cinquemila api vive. Al termine degli
  anni Settanta sviluppa la tematica della natura, riflettendo sui danni
  prodotti dallo sviluppo tecnologico e sui cambiamenti che ne conseguono.
  Negli anni Ottanta ritorna alla pittura, abbandona il tema della natura e
  inizia una profonda riflessione sull’identità, le problematicità regionali e
  la memoria storica. Del 1980-81 è la serie La guerra. A metà degli anni
  Ottanta crea opere in cui sono presenti simboli della tradizione creola:
  duelli, accette, coltelli, usi e i costumi del gaucho e della vita contadina.
  Numerose le esposizioni in patria e all’estero, tra cui la Biennale di San
  Paolo del Brasile nel 1987 e 1991 e di nuovo la Biennale di Venezia nel 1999.
  
  Iñaki Beorlegui Estévez
  Nato nel 1964 a Città del Messico, nel 1978 si trasferisce a Guadalajara,
  dove attualmente vive e lavora. Verso la fine degli anni Settanta ha inizio
  il suo percorso artistico: in un primo momento si avvicina al disegno e, solo
  in seguito, alla pittura. Di formazione prevalentemente autodidatta,
  partecipa ad alcuni workshop di disegno e pittura tenuti presso l’Istituto
  Culturale Cabañas nel 1985 e poi, nel 1987, dal pittore José Fors. Da studente
  diviene lui stesso insegnante d’arte all’Università ITESO, sempre a
  Guadalajara. Del suo lavoro si sottolinea la sobrietà nell’uso del colore, la
  sensazione tattile delle superfici, la figurazione velata, la liricità delle
  opere. Il temperamento, la professionalità e il carattere di questo artista
  sono i suoi elementi distintivi. Partecipa a numerose esposizioni sia
  individuali che collettive.
  
  Arthur Bispo do Rosário
  Nato a Japaratuba-Sergipe, in Brasile, tra il 1909 e il 1911, morto a Rio
  de Janeiro nel 1989. Proveniente da una famiglia di schiavi di colore,
  inizialmente lavora in marina e poi entra alle dipendenze di una tradizionale
  famiglia carioca. Dopo alcuni episodi di allucinazioni, in cui dichiara di
  essere stato incaricato da Dio di giudicare i vivi e i morti, viene
  ricoverato in ospedale e, in un secondo momento, trasferito presso la Colônia
  Juliano Moreira, un istituto di Rio de Janeiro per persone considerate
  “anormali”, tra cui negri, poveri, alcolizzati e malati psichici, e vi
  rimarrà per cinquant’anni. Durante la permanenza in istituto Bispo do Rosário
  comincia a produrre alcuni oggetti utilizzando differenti tipologie di
  materiali, dai rifiuti ai rottami; una volta scoperti, verranno classificati
  come arte d’avanguardia e paragonati ai lavori di Marcel Duchamp. Nei suoi
  lavori i temi più ricorrenti sono quelli inerenti le navi e la marina, ma
  anche missili, stendardi e oggetti d’uso comune. L’opera più nota è il Manto
  da apresentação, da indossare nel giorno del Giudizio finale. Numerosi nella
  sua produzione sono i riferimenti alla fede cristiana e all’arte africana,
  date le sue origini. Solo di recente le sue opere hanno acquistato valore, a
  tal punto da essere esposte a Venezia, Stoccolma, Parigi, New York e in
  America Latina. Artista concettuale, pop, folk, visionario o psicotico, è un
  fabbricatore di storie sacre e profane, reali e immaginarie.
  
  Marcelo Bordese
  Nato nel 1962 a Córdoba, in Argentina, vive e lavora a Buenos Aires. Bordese
  è esponente di una nuova generazione di artisti visionari latinoamericani che
  stanno rivoluzionando il linguaggio tropologico dell’arte religiosa. Le sue
  opere travolgenti stupiscono per la padronanza della tecnica e allo stesso
  tempo provocano smarrimento per i soggetti e le tematiche affrontate. Figure
  mostruose colte in deliziosi balletti di cannibalismo e penetrazioni
  sessuali, crocifissioni e immagini di delirio collocano la pittura di Bordese
  nella tradizione del sublime. La crudezza delle sue opere, l’intensità con
  cui le sue immagini irrompono nell’inconscio richiamano l’esperienza dei
  surrealisti e la psicoanalisi di Jung e Freud, e ancora Dante e Sade,
  Baudelaire e Poe, Bosch, Grunewald e Goya.
  
  Jacobo Borges
  Nato a Caracas, in Venezuela, nel 1931, inizialmente lavora come
  litografo e grafico pubblicitario, poi si iscrive, nel 1949, alla Scuola di
  Arti Plastiche e Applicate di Caracas, da cui viene espulso nel 1951 per la
  sua contrarietà ai metodi d’insegnamento adottati. Continua il suo percorso
  nel mondo dell’arte da autodidatta, e questo non gli impedisce di frequentare
  un workshop che gli permette di esporre il suo lavoro e gli apre le porte a
  livello internazionale. Vince numerosi premi, tra cui uno con la Metro
  Goldwyn Mayer, che lo porta a Parigi. Restando in Francia per quattro anni,
  crea opere fortemente ispirate ai fauves e al cubismo, movimenti già studiati
  durante gli anni scolastici. Nel 1956 torna in Venezuela, dove sviluppa uno
  stile maggiormente neofigurativo, un cambiamento necessario per esprimere il
  suo scontento politico e sociale. Nel 1966 abbandona la pittura e per cinque
  anni si dedica al cinema e allo studio dei nuovi mezzi di comunicazione
  multimediali, utilizzandoli come strumenti di denuncia sociale. I suoi lavori
  più recenti riflettono l’influenza esercitata dalle passate esperienze come
  regista e fotografo e rivelano un Borges meno interessato ai temi di
  attualità e più a quelli riguardanti le tradizioni, i costumi, lo scorrere
  del tempo e la memoria, che traendo ispirazione da fotografie da lui
  collezionate e trasformate in dipinti, riesce a creare uno stile unico e
  personale. Nel 1995 il governo del Venezuela dà il suo nome a un museo nella
  parte più povera di Caracas, nell’intento di offrire a tutti la possibilità
  di accedere al mondo dell’arte. Tra le numerose partecipazioni e i premi, nel
  1957 Borges è presente alla Biennale di San Paolo del Brasile, nel 1958 alla
  Biennale di Venezia e nel 1964 al Guggenheim di New York.
  
  Tania Bruguera
  Nata all’Avana, a Cuba, nel 1968, il suo percorso formativo si presenta
  piuttosto articolato: frequenta all’Avana la Escuela Elemental de Artes
  Plásticas (1980-83), la Escuela de Artes Plásticas San Alejandro (1983-87),
  l’Instituto Superior de Arte (1987-92) e, a Chicago, consegue, in Illinois,
  il master of fine art-performance presso la School of the Art Institute
  (1999-2001). Dal 1986 lavora con il proprio corpo realizzando performance,
  installazioni, opere e video. Secondo Tania Bruguera l’arte è un’esperienza
  sia fisica sia psicologica che permette di acquisire conoscenza e studiare la
  percezione emotiva. Nel suo percorso di ricerca indaga la trasformazione
  umana come parte e conseguenza di un rapporto con il potere e il fragile
  equilibrio tra etica e desiderio, sperimentando nel suo lavoro performativo
  la paura, la vulnerabilità, l’autodeterminazione, l’obbedienza e la libertà,
  intese tutte come strategie di sopravvivenza sociale. Si segnala la sua
  partecipazione a numerose Biennali in tutto il mondo, da Venezia a
  Johannesburg, da San Paolo del Brasile a Shanghai, dall’Avana a Santa Fe negli
  Stati Uniti.
  Adriana Bustos
  Nata nel 1965 a Bahía Blanca, Argentina, citta a sud-est di Buenos Aires, si
  diploma alla Escuela de Bellas Artes Figueroa Alcorta e si laurea in
  psicologia presso l’Universidad Nacional di Córdoba. Terminati gli studi,
  rimane a Córdoba, dove attualmente vive e lavora. Gli strumenti che più ama
  sono la fotografia e i video, con una naturale passione per i documentari e
  per la loro realizzazione. I suoi lavori raccontano una personale visione
  della realtà che la circonda, analizzano la città e le persone che la vivono,
  e offrono in tal modo allo spettatore lo spunto per l’avvio di una
  riflessione di ampio respiro su uno spaccato di vita sociale. Nella sua
  carriera ha ricevuto premi e borse di studio e ha tenuto numerose mostre, soprattutto
  a Córdoba e Buenos Aires, in Messico e in Brasile.
  
  Iván Capote
  Nato nel 1973 a Pinar del Río, Cuba, dal 1985 all’88 studia alla Escuela
  Vocacional de Arte nella sua città e dal 1988 al ’92 alla Escuela Nacional de
  Arte dell’Avana. Nel 1999 tiene la sua prima mostra personale, Buscando la
  raíz, al Centro Provincial de Artes Visuales di Pinar del Río, alla quale
  seguono nel 2001 Armonía de contrarios alla Galería Habana nella capitale
  cubana, nel 2003 Dibujos y proyectos alla Brownstone Foundation di Parigi e
  nel 2006 Aforismos ancora alla Galería Habana. Numerose anche le esposizioni
  collettive, i premi vinti e le pubblicazioni. Sue opere sono presenti in
  molte collezioni degli Stati Uniti, tra cui Arizona State University Art
  Museum, Alex and Carole Rosenberg, Ben Rodríguez e Diane L. Ackerman di New
  York, ma anche d’Europa, tra cui la Daros Latinoamerica di Zurigo e la
  Charles Diamond di Londra.
  
  Yoan Capote
  Nato a Pinar del Rio, Cuba, nel 1977, il suo percorso formativo ha inizio
  nel 1988 alla Scuola Provinciale d’Arte locale, quindi tra il 1991 e il 1995
  studia alla Scuola Nazionale d’Arte dell’Avana e tra il 1996 e il 2001 si
  perfeziona all’Istituto d’Arte dell’Avana, dove successivamente tiene un
  corso di arti visive fino al 2003. Interessato alla lavorazione dei materiali
  e affascinato dalla possibilità di interazione del pubblico con gli oggetti,
  si dedica in particolare alla scultura. Inizia a esporre nel 1994 presentando
  le sue opere in varie gallerie a Cuba e a New York e partecipando, tra l’altro,
  alla Biennale dell’Avana nel 2000 e nel 2003.
  
  Los Carpinteros
  Gruppo di tre artisti cubani fondato all’Avana nel 1994 da Alexandre
  Arrechea (nato a Trinidad nel 1970), Marco Antonio Castillo Valdés (nato a
  Camagüey nel 1971) e Dagoberto Rodríguez Sánchez (nato a Caibarién nel 1969).
  Nel luglio 2003 Alexande Arrechea lascia il gruppo per proseguire la sua
  carriera come artista solista. Valdés e Sánchez studiano alla scuola d’arte
  provinciale per poi specializzarsi presso l’Instituto Superior de Arte (ISA)
  dell’Avana. Le loro opere, parafrasando l’architettura e gli strumenti
  utilizzati comunemente secondo la teoria DUPP (desde una pragmática
  pedagógica) del loro maestro René Francisco, vanno oltre il senso comune
  delle cose, indagano e portano alla luce i significati latenti degli
  elementi, ne investigano le discordanze e le ambiguità, amplificano il lato
  assurdo delle cose, trovando però sempre una spiegazione personale attraverso
  uno sguardo puntuale e preciso sulla realtà.
  
  Liset Castillo
  Nata nel 1974 a Camagüey, Cuba, studia arte per dodici anni all’Instituto
  Superior de Arte all’Avana, diplomandosi nel 1998. Nel 2000 decide di
  trasferirsi ad Amsterdam per seguire un programma internazionale per artisti,
  e in questa città ancora oggi vive e lavora. Le sue opere sono effimere e
  transitorie come la realtà che descrive e che la circonda; non è un caso,
  infatti, che dopo averle fotografate, le distrugga: troppo fragili per poter
  sopravvivere. Per creare i suoi universi solitari utilizza il pulviscolo di
  silicio, materiale che le permette di ricreare la sabbia, elemento base nei
  suoi paesaggi urbani, nei suoi mondi privi della presenza umana, disabitati,
  isolati, ma che ricreano perfette costruzioni geometriche. Ha vinto numerosi
  premi e borse di studio, tra cui quella conferitagli dalla Guggenheim
  Foundation di New York. Suoi lavori sono presenti nelle maggiori collezioni
  pubbliche e private e sono stati esposti in numerose mostre personali e
  collettive.
  
  Nicola Costantino
  Nata a Rosario, in Argentina, nel 1964, si diploma alla Scuola di Arti Visive
  della sua città, specializzandosi in scultura e coltivando interesse per
  materiali come il silicone, la resina e il poliestere e per le varie tecniche
  di lavorazione, frequentando botteghe artigiane e fabbriche. Nel 1989
  sperimenta le abilità acquisite realizzando novanta bambole alte ottanta
  centimetri, usate in seguito in diverse installazioni artistiche. Nel 1992
  intraprende un percorso di ricerca e sperimentazione sui prodotti alimentari,
  lavorando con le carni e gli organismi animali, specialmente suini. I suoi
  esperimenti la portano a frequentare un corso di tassidermia presso il Museo
  di Scienze Naturali a Rosario, dove impara a imbalsamare gli animali. Segue
  poi un workshop per giovani artisti organizzato dall’artista Pablo Suárez a
  Rosario. Nel 1995 si trasferisce negli Stati Uniti per frequentare un
  programma di studio presso la Scuola d’Arte di Houston, dove inizia a
  sperimentare la lavorazione del silicone per ottenere una copia quasi esatta
  della pelle umana, utilizzata poi per la produzione di una linea di
  abbigliamento. Tornata in Argentina, tiene corsi di insegnamento delle
  tecniche per la produzione di oggetti d’arte e sculture, in particolare per
  lo stampaggio di silicone e resina di poliestere colata. Nel 1999 lavora a
  una nuova serie di opere: feti di animali morti, in particolare puledri, tori
  e vitelli. Del 2003 è il progetto Savon de corps, ovvero la produzione di
  saponi creati con parte della propria sostanza grassa ottenuta mediante liposuzione.
  
  Farnese de Andrade
  Nato nel 1926 ad Araguari, in Brasile, morto nel 1996 a Rio de Janeiro, è
  pittore, scultore, disegnatore, incisore e illustratore. Dal 1945 al 1948
  studia disegno con Guignard a Belo Horizonte presso la Escola do Parque, poi
  si trasferisce a Rio per curarsi la tubercolosi. Dal 1950 al 1960 lavora come
  illustratore di libri di letteratura e per alcune riviste e inizia a
  frequentare il laboratorio di incisione presso il Museu de Arte Moderna di
  Rio, dove perfeziona la tecnica di incisione del metallo sotto la guida di
  Johnny Friedlaender. Nel 1964 comincia a lavorare con materiali di scarto,
  trovati sulle spiagge e nelle discariche, ma utilizza anche armadi e oggetti
  acquistati presso antiquari. Spesso nelle sue opere sono presenti pure
  vecchie fotografie. Dal 1967 in poi utilizza la resina poliestere per
  avvolgere materiali deperibili. Nel 1970 vince un viaggio-premio al Salão
  Nacional de Arte Moderna e decide di trasferirsi a Barcellona, dove rimane
  fino al 1975, per poi ritornare in Brasile.
  
  Gabriele De Stefano
  Nato a Reggio Calabria nel 1936, ancora giovanissimo ottiene grandi
  riconoscimenti: espone con Andy Warhol al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel
  1974 e cura scene e costumi per vari spettacoli di Vittorio Gassman, tra cui
  Affabulazione di Pier Paolo Pasolini. Alla fine degli anni Settanta si
  trasferisce a New York, poi a Los Angeles e di lì in Brasile. Qui inizia il
  suo percorso interiore tra le comunità degli Yanomami, tra i bacini
  dell’Orinoco e del Rio Negro, nel Nord-est, tra il Brasile e il Venezuela. Il
  lungo periodo di frequenza costante con gli Yanomami restituisce un artista
  sciamano le cui opere sono un esempio di primitività pressoché unico al
  mondo. I suoi lavori evocano rituali di una sacralità animistica, e in qualche
  caso animalistica, di gruppi tribali, di culture recentemente sedentarie ma
  ancora intimamente legate a una primigenia vocazione nomade, dove il ponte
  tra i vivi e l’al di là è rappresentato da quelle sostanze allucinogene che
  trasformano eventi naturali e animali in miti e il mito in regola di vita o
  in ausilio essenziale nei momenti decisivi, nelle malattie, nei combattimenti
  e nel corso di avversi fenomeni meteorologici e naturali. Di questo vasto
  mondo spirituale De Stefano è testimone e interprete, e la sua pittura lo
  restituisce filtrato dalla sua immaginazione e arricchito dalla sua sapienza
  pittorica.
  
  Marcia Duhagon
  Nata a Buenos Aires, in Argentina, nel 1965, si laurea in psicologia
  all’Università di Buenos Aires, frequenta un corso di fotografia presso il
  Centro Cultural Recoleta e nel 1999 si trasferisce in Messico, dove continua
  a studiare al Centro de la Imagen con professori del calibro di Charles
  Harbutt, Allen Frame, Jeff Jacobson, Arlene Collins, Christian Caujolle,
  Alejandro Castellanos, Zoran Filipovic, Manuel Romero, Jim Goldberg e Philip
  Brookman. Tornata poi in Argentina, studia film direction of photography al
  Sindicato de la Industria Cinematográfica, dove segue corsi di videoarte,
  semiotica e fotografia estetica. Dal 1998 partecipa a numerose mostre
  collettive, soprattutto in Argentina, e nel 2007 tiene la sua prima mostra
  personale, Eje 3, presso il Cultural Space, all’interno dell’Ambasciata del
  Messico a Buenos Aires.
  
  Alinka Echeverría Samperio 
  Nata nel 1981 a Città del Messico, nel 2002 studia antropologia visuale,
  sviluppo e scienze politiche all’Università di Bologna, prende un master in
  antropologia sociale e sviluppo all’Università di Edimburgo, nel 2005-06
  frequenta un corso alla Escuela Activa de Fotografía in Messico e nel 2007-08
  si specializza in fotografia documentaristica a New York. Tiene la sua prima
  mostra personale nel 2008 al Museo de los Pintores Oaxaqueños a Oaxaca, in
  Messico; numerose le esposizioni collettive, tra cui, nel 2007, la Biennale
  di Venezia.
  
  Luis González Palma
  Nato a Città di Guatemala nel 1957, studia architettura e cinema presso
  l’Universidad de San Carlo di Guatemala, appassionandosi in seguito al mondo
  della fotografia. Ora vive e lavora a Córdoba, in Argentina. Protagonisti dei
  suoi lavori sono i “mestizo”, termine di origine spagnola utilizzato per
  indicare le persone di razza mista: europea e indiana. Nelle sue opere ritrae
  appunto l’anima degli indigeni maya e dei mestizo guatemaltechi, ne racconta
  la cultura, le usanze, i costumi, ma anche le sofferenze, l’emarginazione, il
  vissuto psicologico, il loro essere una minoranza. Molto frequente l’uso di
  simbolismi e di tecniche fotografiche quali il collage, con zone prive di
  colorazione e l’uso del color seppia. Numerose le esposizioni collettive e
  personali in tutto il mondo, Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Spagna. È
  presente in numerose collezioni pubbliche e private, quali l’Art Institute di
  Chicago, la Daros Foundation di Zurigo, la Maison Européenne de la
  Photographie di Parigi, il Museum of Fine Arts di Houston, la Fondation pour
  l’Art Contermporain di Parigi, la Fondazione Volume di Roma.
  
  Ignacio Iturria
  Nato a Montevideo nel 1949, cresce nella capitale uruguaiana studiando
  arte e graphic design, per poi dedicarsi interamente alla pittura. Nel 1975
  partecipa al Salone nazionale delle arti plastiche e visive dell’Uruguay,
  dove è premiato, e al XXIII Salon municipal di Montevideo. Nel 1993 realizza
  una mostra significativa del suo lavoro presso il Museo d’Arte delle Americhe
  e rappresenta l’Uruguay alla Biennale di Venezia. Nel 1994 viene premiato
  alla Biennale internazionale di Cuenca e alla XII Biennale della grafica di
  San Juan. Pur essendo principalmente un pittore, le sue opere si
  caratterizzano per la varietà dei materiali utilizzati: cartone ondulato,
  filo, lattine, scatole, oggetti trovati e piccole pietre. Tiene numerose
  mostre in Uruguay, Argentina, Brasile, Spagna, Giappone, Germania e Stati
  Uniti.
  
  Alessandro Kokocinski 
  Nato in Italia a Porto Recanati nel 1948 da madre russa e padre polacco,
  trascorre l’infanzia in Brasile, nella foresta dell’Iguazú, a contatto con
  gli indios Guaraní; in seguito si trasferisce in Argentina e negli anni
  Sessanta comincia a lavorare per il circo girando l’America Latina. Tornato
  poi a Buenos Aires, lavora come scenografo. La persecuzione della giunta
  militare argentina lo costringe nel 1969 a rifugiarsi in Cile, dove inizia a
  esporre disegni di chiara denuncia politica. Allinizio degli anni Settanta è
  a Roma, dove studia con il maestro Riccardo Tommasi Ferroni e sviluppa le sue
  capacità espressive nella pittura, nel disegno, nella scultura e nella
  scenografia. Il realismo visionario della sua arte è frutto di un
  caleidoscopio di culture, proiettato com’è in una dimensione rigorosa e
  insieme fantastica e allucinata. Il tema della guerra è spesso al centro
  delle sue opere, che esprimono l’idea dell’orrore per la sopraffazione, la
  violenza e l’arroganza. Instancabile viaggiatore, con lunghi soggiorni nel
  continente asiatico, attualmente vive in Italia, a Tuscania.
  
  Nelson Leirner
  Nato nel 1932 a San Paolo del Brasile, dal 1947 al 1952 vive negli Stati
  Uniti, dove studia ingegneria tessile a Lowell, nel Massachusetts, ma
  abbandona l’istituto prima della laurea. Di ritorno in Brasile, nel 1956
  studia pittura con Ponç Joan e nel 1958 frequenta l’Atelier-Abstração di
  Flexor. Nel 1966 fonda il Gruppo Rex insieme a Wesley Duke Lee, Geraldo de
  Barros, Carlos Fajardo, José Resende e Frederico Nasser, con i quali nel
  corso degli anni Sessanta realizza happening polemici, ma nel 1967 l’evento
  Exhibition-Non-Exhibition, in cui Leirner offre gratuitamente le sue opere al
  pubblico, segna la fine del gruppo. Nello stesso anno partecipa alle Biennali
  di Tokyo e di San Paolo e al Salone d’arte moderna di Brasília con un’opera
  che rappresenta un maiale farcito, che suscita molte polemiche. In occasione
  della Biennale di San Paolo del 1969 gli è riservato uno spazio speciale, che
  poi per ragioni politiche gli viene negato; nuovamente invitato, esporrà
  nell’edizione del 1971. Nel 1970 crea allegorie della scena politica
  contemporanea in una serie di disegni e incisioni. Nel 1974 espone A rebelião
  dos animali, una serie di opere di forte opposizione al regime militare per
  la quale gli viene assegnato un premio dall’APCA, l’associazione dei critici
  d’arte di San Paolo, per la miglior proposta dell’anno. Nel 1994 allestisce
  una mostra retrospettiva presso il Paço das Artes di San Paolo. Nel 1999
  partecipa alla Biennale di Venezia e alla mostra The Fifth Element alla Kunsthalle
  di Dusseldorf. Dal 1977 al 1997 insegna presso la Fondazione Armando Alvares
  Penteado di San Paolo, svolgendo un ruolo significativo nella formazione
  delle più giovani generazioni di artisti.
  
  Glenda León
  Nata nel 1976 all’Avana, Cuba, dal 1988 al ’90 ha frequentato la Scuola
  di Arti Visive nella sua città, dove nel 1994 segue un corso di filologia
  all’Università e nel 1999 si laurea in storia dell’arte presso la Facultad de
  Artes y Letras. Nel 2000 partecipa, nell’ambito delle azioni della Galería DUPP
  (Desde Una Pragmática Pedagógica), al progetto di René Francisco Rodríguez,
  artista e professore dell’Instituto Superior de Arte (ISA), che nel 2001 si
  aggiudica il Premio Unesco per la diffusione delle arti. Oltre a tenere
  mostre personali a Cuba e a Berlino (Flight of Reason, Magical Reality e
  Shape of the Instant), Glenda León rappresenta Cuba alla VIII Biennale
  dell’Avana.
  
  Maria A. Listur
  Nata in Argentina nel 1964, nei primi anni Settanta inizia a studiare e
  lavorare nel mondo della danza, del teatro e della pittura seguendo una
  tradizione di famiglia, in quanto figlia d’arte. Negli anni Ottanta frequenta
  la facoltà artistica dell’Universitad Nacional di Cuyo, in Argentina. Nel
  1991 si trasferisce in Europa dove continua la sua ricerca nell’ambito dell’interdisciplinarità
  e della multidisciplinarità, applicandosi trasversalmente alla pittura, al
  teatro e alla danza. Nel 2002 crea la Fondazione Relazionearte che ha come
  obiettivo di produrre e promuovere eventi multiculturali e interdisciplinari
  in cui sperimentare la fusione di diversi ambiti creativi e del sapere
  (filosofia, pittura, letteratura, danza, cinema, musica, teatro, linguistica,
  scultura, architettura, fotografia, salute), nell’intento di approfondire la
  conoscenza dell’essere umano.
  
  Marcos López
  Nato a Santa Fe, in Argentina, nel 1958, studia ingegneria presso
  l’Universidad Tecnológica Nacional e nel 1978 comincia ad appassionarsi alla
  fotografia, tanto che abbandona gli studi universitari per dedicarvisi
  completamente. Nel 1982 vince una borsa di studio dal Fondo Nacional de las
  Artes, che lo porta a Buenos Aires e che gli permette di partecipare a una
  serie di workshop con fotografi argentini e stranieri. La sua formazione
  creativa si completa con esperienze lavorative estremamente varie e
  articolate: realizza un documentario in un ospedale neuropsichiatrico; crea
  con altri artisti il gruppo “Núcleo de autores fotográficos”, in cui
  approfondisce il tema della fotografia vista come mezzo comunicativo; si
  iscrive a una scuola di cinema e televisione a Cuba per perfezionare la sua
  tecnica; lavora a Buenos Aires come assistente alle luci per documentari e
  lungometraggi. Vince numerosi premi e borse di studio, partecipa a mostre
  collettive e personali ed è presente in un gran numero di collezioni
  pubbliche e private del Nord e Sud America e d’Europa.
  
  Sebastiano Mauri
  Di origine italo-argentina, Sebastiano Mauri, nato a Milano nel 1972,
  vive e lavora per anni tra l’Italia, New York e Buenos Aires. Laureato alla
  scuola di cinema della New York University nel 1995, nel 2004 frequenta il
  corso di arti visive della Fondazione Antonio Ratti. Per i suoi cortometraggi nel 1996
  vince il Warner Brothers Award e il Martin Scorsese Post-Production Award. Nel corso degli anni suoi lavori vengono esposti al MART
  di Rovereto, al MNAC di Bucarest, al CACT di Bellinzona, al CCEBA di Buenos
  Aires, al KSAK di Chisnau, alla Fundación de Arte Contemporánea di
  Montevideo, al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires, all’Espacio Casa de
  la Cultura di Buenos Aires, alla Milanesiana 2007 di Milano (Teatro Dal
  Verme), al Palazzo delle Papesse di Siena, al MAN di Nuoro, alla Triennale di
  Milano. Nel 2009 partecipa alla X Biennale dell’Avana.
  
  Sergio Meirana
  Nato nel 1966 in Uruguay, il suo percorso formativo si svolge presso la
  Escuela de Arte Pedro Figarí, dove segue il corso di scultura in legno tenuto
  da Fernando Izquierdo Egresado (1989-91) e consegue la laurea in scultura nel
  2003. Nel 2005 rappresenta l’Uruguay alla V Bienal del Mercosur e al Taller
  internacional de arte di Santa Cruz de las Sierras, in Bolivia. Nel 2006
  frequenta il seminario di storia dell’arte dell’Uruguay del professor Nelson
  Dimaggio presso il Museo Nazionale di Arti Visive e un workshop con Gerardo
  Mosquera. Lo stile di Meirana si caratterizza per l’uso di un linguaggio
  figurativo narrativo: come in un fumetto, nelle sue opere è sempre presente
  un personaggio stilizzato, di legno o di cartone, che rappresenta
  l’uruguaiano medio in lotta per la sopravvivenza. Le sue opere, come poesie
  visive di forte impatto drammatico, illustrano i problemi sociali
  dell’Uruguay. L’artista si serve dell’ironia e dell’umorismo per
  rappresentare le pressanti difficoltà della realtà quotidiana.
  
  Ana Mendieta
  Nata all’Avana, Cuba, nel 1948, ha un’infanzia felice, ma nel 1961, dopo la
  vittoria castrista, lei e sua sorella vengono strappate dalla famiglia e
  inserite nel programma statunitense “Peter Pan”, un piano anticomunista per
  “salvare” i bambini cubani. Questa esperienza per Ana si traduce in un
  continuo pellegrinaggio tra orfanotrofi, case-famiglia e genitori adottivi,
  che la condurrà a un forte stato depressivo. Negli Stati Uniti sperimenta
  l’emarginazione e la vita come cittadina di seconda classe, negli anni
  Settanta frequenta un programma presso la Iowa State University, considerata
  in quel momento uno fra i più interessanti luoghi d’avanguardia artistica, e
  ottiene due master in arti visive. Durante questo periodo, decisivo nella sua
  vita creativa, avviene la scelta radicale di passare dal lavoro pittorico
  alle performance, intuendo che i dipinti non sono abbastanza reali per quello
  che desidera comunicare: lei vuole che le sue immagini abbiano potere, siano
  magiche. L’esclusione dal mondo dell’arte degli artisti di etnie diverse e
  delle donne (tra i primi temi che affronta vi è la violenza contro il corpo
  femminile) la porta a rivendicare in modo forte la propria identità
  transculturale, nei suoi lavori utilizza simboli e aspetti di pratiche
  rituali di antiche culture indigene delle Americhe, d’Africa e d’Europa e vi
  incorpora elementi della natura e di riti sacrificali primitivi associati
  alla santeria cubana. Muore nel settembre del 1985 cadendo dal
  trentaquattresimo piano di un appartamento nel Greenwich Village,
  probabilmente suicida. I suoi lavori sono presenti nelle più importanti
  collezioni pubbliche e private, dopo essere stati esposti in numerose mostre
  personali e collettive.
  
  Alejandra Mettler
  Nata nel 1965 a Mar del Plata, in Argentina, intraprende il suo percorso
  formativo con Basilio Celestino e Ricardo Marcángeli. Nel 1981 studia
  pittura e disegno alla scuola Godesberg di Bonn, in 
  
  Beatriz Milhazes
  Nata a Rio de Janeiro, in Brasile, nel 1960, frequenta un corso di comunicazione
  sociale (1978-81) e la scuola di arti visive Parque Le sue opere, in linea
  con l’estetica del Lage in Brasile (1980-82). movimento
  “pattern and decoration”, si caratterizzano per i colori vibranti e audaci
  usati per comporre motivi giocosi, geometrici e psichedelici. Il suo lavoro
  si rifà al barocco, all’opera di Tarsila do Amaral (1886-1973) e Burle Marx
  (1909-1994), a modelli ornamentali e all’art déco. Oltre che alla pittura si
  dedica all’incisione e all’illustrazione. Nel 1995-96 frequenta corsi di
  incisione su metallo e linoleum con Solange Oliveira e Rodrigues Valerio. Nel
  1997 realizza le illustrazioni del libro As mil e uma noites à luz do dia:
  Sherazade conta histórias àrabes di Katia Canton. Dal 1990 partecipa a mostre
  internazionali negli Stati Uniti e in Europa e sue opere entrano a far parte
  di prestigiose collezioni come il Museum of Modern Art, il Guggenheim e il
  Metropolitan di New York.
  
  Luis Molina-Pantin
  Venezuelano, ma nato a Ginevra nel 1969, vive e lavora a Caracas. Dopo la
  laurea in belle arti alla Concordia University di Montreal consegue un master
  all’Institute of Art di San Francisco nel 1997. La ricerca che emerge
  dall’insieme dei suoi lavori rimanda a un’idea di paesaggio immaginifico,
  metafisico, legato al ricordo e all’idea di souvenir, che pone l’osservatore
  di fronte alla “presenza dell’assenza” di un luogo e di un oggetto di una
  terribile storia di sfruttamento e arricchimento, tramutata in una grottesca
  allegoria architettonica. La sparizione, la dissolvenza dell’oggetto,
  dell’opera e dell’architettura come soggetti e la loro nuova connotazione
  sono alla base della sua fotografia e della sua intera ricerca, assieme a uno
  spirito archivistico, creatore di campionari che suppliscono alla reale
  esperienza, denudando l’incapacità e l’immobilismo umano di fronte alla
  seduzione dell’inganno scenico. I suoi Nuevos paisajes (1999-2000) propongono
  una gamma di oggetti quotidiani decorati con riproduzioni di luoghi noti o
  non definiti, visioni immaginarie di paesaggi avventurosi o confortanti. La
  forza di queste immagini, ironicamente evocativa, risiede nella
  rappresentazione fuori scala, monumentale e museale, di oggetti banali che
  sfiorano il kitsch, facendo sì che l’immagine legata al ricordo prenda il
  sopravvento rispetto a quella dell’oggetto, il quale svanisce nella
  sovradimensione che l’autore ha scelto di conferirgli.
  
  Ivani Pedrosa
  Ivani Pedrosa Moreira nasce nel 1955 a Rio de Janeiro dove vive e lavora. Si è laureata alla
  National School of Fine Arts all’Università Federale di Rio de Janeiro
  (1995). Ha seguito un seminario
  internazionale d’arte a Londra nel 1994 e, dal 1996 al 2004, ha frequentato
  la Parque Lage Visual Art School di Rio de Janeiro con i professori Reynaldo
  Roels, Iole de Freitas, Guilherme Bueno e Fernando Cocchiarale. Ha iniziato a
  esporre nel 1999 al National Museum of Fine Art di  Rio de Janeiro e,
  successivamente, ha partecipato a molte mostre collettive nel suo paese. Nel
  2004 ha fatto la sua prima mostra personale presso la University Centre of
  Mariantonia a San Paulo, presentando, in quella occasione, la sua
  installazione architettonica e sonora “Espaço Amplificado IV”. L’artista
  esplora anche il campo della fotografia fatta con i cellulari, dal momento
  che lo vede come un modo veloce e adatto per ricevere e spedire messaggi al
  mondo intero. Nelle sue installazioni viene dato risalto al dialogo tra
  costruzione e decostruzione dell’immagine che ciascuno di noi offre all’altro
  e al “Narcisismo” creato dal mondo contemporaneo. Lo spettatore, al quale
  viene richiesto di usare la sua percezione, è guidato ad interagire con
  l’opera d’arte senza che gli venga imposto, ma semplicemente per la curiosità
  che l’opera provoca in lui entrandovi in
  relazione.      
  
  Vik Muniz
  Nato a San Paolo del Brasile nel 1961, dal 1983 vive e lavora a New York.
  Dopo aver frequentato un corso di pubblicità alla Fondazione Armando Alvares
  Penteado di San Paolo inizia a lavorare come scultore, ma progressivamente
  rivolge la sua attenzione esclusivamente alla fotografia. Il suo lavoro
  consiste nel materializzare in modo inusuale immagini-icone: le sue
  fotografie sono illusorie, immagini che sfidano la capacità dell’osservatore
  di discernere i fatti reali dalla finzione, la verità dall’apparenza. Il
  processo creativo di Muniz è piuttosto complesso: l’artista dapprima sceglie
  un’immagine, in genere assai nota – la Gioconda, incisioni di Piranesi,
  Jackson Pollock o Che Guevara –, e la proietta per terra, poi riempie e
  ricostruisce quell’immagine proiettata manipolando plasticamente un materiale
  prescelto, quindi la rifotografa. Ne nascono immagini realizzate utilizzando
  materiali non ortodossi per la fotografia, come cioccolato, sabbia, filo di
  lana, gelatina, polvere, chiodi… Il suo è dunque un gioco illusionistico
  basato sulla memoria iconografica, reso con un linguaggio che evoca
  l’impressionismo e il pointillisme, dove la tecnica serve a rivelare
  l’inganno del linguaggio fotografico.
  
  Alexandre Murucci
  Nato nel 1961 a Rio de Janeiro, in Brasile, partecipa a workshop di arte
  internazionale con il professore Charles Watson, poi di scultura all’Atelier
  Kislansky. Studia alla Scuola d’Arti Visuali di Parque Laje con il professore
  Luis Ernesto e in seguito frequenta la Scuola di Architettura e Urbanismo di
  Souza e Silva. Inizia a esporre nel 1999, partecipando a numerose mostre
  collettive, e nel 2006 tiene la sua prima mostra personale al Museo Nazionale
  di Belle Arti di Rio de Janeiro, intitolata Ceci n’est pas Peri. Molto
  interessato anche alla videoarte, realizza numerosi lavori come art director
  per il cinema.
  
  Ernesto Neto
  Ernesto Saboia de Albuquerque Neto, nato a Rio de Janeiro, in Brasile,
  nel 1964, dal 1994 al ’97 frequenta la Escola de Artes Visuais Pargua Lage
  nella sua città. Inizia a esporre le sue opere nel 1988 in Brasile e dal 1995
  comincia a essere conosciuto e richiesto anche all’estero, fino a diventare
  un artista che ben rappresenta il suo paese nel panorama internazionale. Nel
  1992, con Vik Muniz, partecipa come bandiera del Brasile alla Biennale di
  Venezia. I suoi lavori sono installazioni che coinvolgono fisicamente lo
  spettatore, cercando di provocarne reazioni mediante stimoli sensoriali e
  istintuali, passionali e ingenui. Questo stuzzicante approccio ha origine
  dalla convinzione che l’arte possa dare contributi positivi e curativi
  all’individuo e alla società. Le sue opere sono spazi di riflessione, rifugi
  dal caos esterno, luoghi accoglienti in cui trovare pace, una sorta di
  rassicurazione circa la precarietà della vita contemporanea. Neto auspica
  “un’arte meno perversa e più sensuale, un’arte che da sola ci raccolga in una
  sorta di luogo spirituale dove si possa respirare un’idea di infinito, di
  totalità, dove sia possibile trovare una continuità tra noi e l’universo”.
  
  Nadin Ospina
  Nato il 16 maggio 1960 a Bogotá, in Colombia, dal 1979 al 1982 insegna belle
  arti nella locale Università Jorge Tadeo Lozano. Nel 1992 partecipa al XXXIV
  Salón de artistas colombianos e vince il primo premio. I suoi lavori più noti
  sono frutto di una contaminazione fra tradizione latinoamericana e cultura di
  massa occidentale contemporanea. Il percorso di ricerca dell’artista riflette
  sulla mancanza di una visione corretta dell’arte latinoamericana primitiva,
  che lo porta a realizzare una serie di statuette votive in stile
  precolombiano raffiguranti personaggi noti dei cartoon come Bart Simpson,
  Minnie e Topolino. In opposizione all’immagine stereotipata del suo
  continente e in particolare della Colombia, diffusa secondo l’artista anche
  attraverso i giocattoli per bambini, Ospina realizza una serie di ritratti
  che ripropongono i personaggi Lego della linea “Avventurieri” in moderni
  contesti colombiani, riadattando in chiave ironica i cliché latinoamericani
  in tutte le loro dannose varianti.
  
  Héctor Javier Ramírez
  Nato a Guadalajara, in Messico, il 5
  gennaio 1977, tra il 1994 e il 1999 frequenta un corso di pittura presso la
  Escuela de Artes Plásticas dell’Università di Guadalajara. Partecipa quindi a
  vari corsi di perfezionamento per affinare la sua tecnica: studia
  l’acquerello con il maestro Luís Eduardo González, l’incisione con Gustavo
  Alvarado, prende lezioni di disegno e pittura da Martha Pacheco. Affascinato
  dal sublime, si concentra sullo studio del lato oscuro dell’equilibrio
  esistenziale, cercando risposte ad alcune tra le più antiche questioni
  filosofiche. Trattando i temi della lotta e della morte, il suo lavoro
  denuncia la perdita dei valori antropici e indaga la presenza di umanità nel
  genere animale. I suoi dipinti e disegni a carboncino, mai inferiori al metro
  di altezza, dominano lo spazio avvolgendo l’osservatore in un’atmosfera
  asettica e tetra. L’artista, spregiando la bellezza del corpo e la perfezione
  delle forme, si dichiara a favore di un’estetica del brutto e del grottesco.
  Numerosi i premi vinti, più di cento le esposizioni collettive e una decina
  le mostre personali.
  
  Roberto Rébora
  Nato nel 1963 a Guadalajara, in
  Messico, segue un percorso formativo da autodidatta e inizia a lavorare come disegnatore
  e fumettista per giornali e riviste all’età di soli quattordici anni,
  esponendo poi regolarmente i suoi disegni in varie gallerie e centri
  culturali in Messico e anche all’estero. Nel 1982 la casa editrice Quarta
  Menguante pubblica un libro di suoi disegni, Si existieras señor Mecenas.
  Considerato uno dei più significativi disegnatori della sua generazione, le
  sue opere fanno ormai parte di importanti collezioni pubbliche, tra cui il
  Museo Marco di Monterrey, il Museo de las Artes de la Universidad di
  Guadalajara, il Frankfurter Kunstverein di Francoforte e il Museo de las
  Américas di Washington.
  
  Antonio Rodríguez
  Pittore messicano documentato tra il 1668 e il 1691, è noto come il
  “Tiziano del Nuovo Mondo”.
  
  José Rufino
  Nato nel 1965 a João Pessoa (Paraíba), vive e lavora in Brasile. Nel 1978
  segue un corso di arti plastiche e nel 1993 frequenta la School of Visual
  Arts di New York. Dopo la laurea in geologia, nel 2000 consegue un master in
  geoscienze all’Università di Pernambuco. Il suo percorso creativo, iniziato
  con la poesia visiva brasiliana, si caratterizza in seguito nella
  realizzazione di installazioni concettuali utilizzando mobili e documenti. Ne
  è un esempio Plasmatio, un’installazione di denuncia politica esposta alla
  Biennale di San Paolo nel 2000: l’opera si compone di sedie, tavoli e
  scrivanie disposte a forma di croce, con un lenzuolo nel mezzo, dove si
  possono leggere brani tratti dai diari di prigionieri politici. Secondo
  l’artista è un tentativo di materializzare la nostalgia. Un’altra
  installazione, Nausea, è composta da schedari d’acciaio con documenti di
  politica brasiliana su cui l’artista ha ricreato le macchie d’inchiostro
  simmetriche del test psicoanalitico di Rorschach. Oltre a tenere numerose mostre
  personali, ha partecipato a rassegne collettive internazionali come la
  Biennale Barro de América a Maracaibo (1998), Panorama de arte brasileira al
  Museu de Arte Moderna di San Paolo (1997), la VI Biennale dell’Avana (1997).
  
  Daniel Santoro
  Artista argentino di origine italiana nato a Buenos Aires nel 1954, studia
  alla Escuela de Bellas Artes Prilidiano Pueyrredón e prende parte al workshop
  di Osvaldo Attila. Tra il 1980 e il 1991 lavora come scenografo al Teatro
  Colón. Dal 1985 compie diversi viaggi ed espone in numerose gallerie d’arte e
  musei.
  
  Demian Schopf
  Nato a Francoforte sul Meno, in Germania, nel 1975, vive e lavora a Santiago
  del Chile. Dopo la laurea in belle arti all’Università Arcis di Santiago del
  Cile ha conseguito un master in arti visive presso l’Universidad de Chile e
  ha completato gli studi presso l’Accademia di Media Arts con Jürgen Klauke e
  Siegfried Zielinski a Colonia, in Germania (2002-2004). Attualmente sta
  portando a termine un dottorato in estetica all’Università di Santiago. Nello
  sviluppo della sua produzione Damien Schopf sperimenta e mescola diverse
  tecniche, usa la fotografia e il digitale per comporre messe in scena che
  ripropongono l’immaginario religioso coloniale sotto una nuova ottica,
  assumendo un atteggiamento critico verso i processi della modernità.
  L’artista sostiene l’ipotesi che il dibattito moderno/postmoderno in America
  Latina debba pensarsi a partire dalla colonia e non dai movimenti
  indipendentisti e illuministi del XIX secolo.
  
  Daniel Senise 
  Nato nel 1955 a Rio de Janeiro, in Brasile, si laurea nel 1980 in ingegneria
  civile all’Università Federale di Rio, dove negli anni seguenti frequenta la
  Scuola di Arti Visuali (EAV) di Parque Lage, in cui poi insegnerà dal 1985 al
  ’96. Partecipa a varie Biennali internazionali: nel 1985, 1989, 1998 a quella
  di San Paolo del Brasile, nel 1986 a quella dell’Avana e nel 1990 a quella di
  Venezia. Numerose anche le esposizioni in musei, quali il MASP e il MAM di
  San Paolo, il MOMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi. Dagli anni
  Ottanta tiene frequenti mostre personali in musei e gallerie del Brasile, ma
  anche negli Stati Uniti, in Messico, in Francia, in Svezia, in Portogallo e
  nei Paesi Bassi. Vive e lavora a Rio de Janeiro.
  
  Divino Sobral
  Nato nel 1966 a Goiânia, in Brasile, continua a vivere e a lavorare nella
  sua città. Dal 1990 opera come artista plastico indipendente. Le sue opere,
  che nascono dalla fusione di linguaggi differenti, mostrano la poliedricità
  dell’artista: disegno, pittura, ricamo, oggetti, sculture, installazioni,
  performance, fotografie, sono solo una parte del suo ricco lavoro. Numerosi
  sono i premi vinti e le partecipazioni a mostre personali e collettive,
  tenute prevalentemente nella sua terra d’origine.
  
  Adriana Varejão
  Nata nel 1964 a Rio de Janeiro, in Brasile, vive e lavora nella sua città.
  Nella sua opera si ritrovano collegamenti con l’arte barocca, la storia
  coloniale del Brasile, la letteratura e la musica tradizionale brasiliana. Le
  sue tele, stracciate per mostrare la viva carne, e ispirate dalle
  tradizionali piastrelle portoghesi, creano un’interazione tra pittura,
  scultura e architettura. Illusione, teatralità, monumentalità, stravaganza,
  artificio, allegoria e travestimento sono tutti elementi che fanno parte del
  suo lavoro, di forte impatto visivo. Ben conosciuta nel mondo dell’arte,
  partecipa a numerose mostre collettive e personali a livello nazionale e
  internazionale.
  
  Yoel Vázquez
  Nato all’Avana, Cuba, nel 1973, dal 1993 al ’97 studia presso l’Accademia
  di San Alejandro e dal 2004 vive in Europa. All’inizio il suo interesse si
  focalizza principalmente sull’analisi dell’esistenza umana, lo studio
  dell’energia e del comportamento dei singoli esseri umani, il loro credo
  religioso e politico, il loro stato d’animo, le loro ansie e passioni, i loro
  sforzi, necessità e sogni. Negli ultimi anni il suo lavoro avvia una
  riflessione sulle esperienze di migrazione e l’idea di una storia personale:
  cosa significa lasciare la propria cultura, la famiglia, gli amici, per
  vivere in un mondo con un diverso codice culturale. Vázquez utilizza la
  fotografia, il video, il disegno e la scultura creando un originale
  linguaggio artistico.